Crespi d'Adda era di un villaggio operaio, operante nel settore tessile cotoniero sorto a opera di Cristoforo Benigno Crespi a partire dal 1875 (per maggiori informazioni visitate il sito http://www.crespidadda.it/)
L'ambizioso progetto di Crespi prevedeva di affiancare agli stabilimenti, analogamente a quanto già accadeva nell'Inghilterra della rivoluzione industriale, un vero e proprio villaggio che ospitasse operai della fabbrica e le loro famiglie. L’ insediamento venne dotato di ogni struttura necessaria: oltre alle casette delle famiglie operaie (complete di giardino ed orto) ed alle ville per i dirigenti (che vennero costruite in seguito) il villaggio era dotato di scuola, cimitero, ospedale campo sportivo, teatro, stazione dei pompieri e di altre strutture comunitarie.
A Valdagno con l'edificazione della Città sociale voluta dai Marzotto parte una precisa organizzazione all'estrema avanguardia considerati i tempi, che forniva le case agli operai, le ville ai dirigenti e una serie di servizi per i lavoratori e le loro famiglie. Il villaggio operaio, cresciuto ai piedi del vecchio paese di Valdagno era dotato di: asilo, scuole, ospedale, casa dei balilla, casa di riposo, panificio e fattoria modello. Per lo svago vi era il dopolavoro e il teatro, per i piccoli la colonia estiva sulle Dolomiti.
Rispetto alla straordinaria ed illuminata visione che Olivetti realizzerà in concreto nel dopoguerra ad Ivrea, i manager delle “Reggiane” seppero anch'essi realizzare a Reggio Emilia, alla fine degli anni ’30, una fabbrica costruita a misura d’uomo.
I dipendenti disponevano di case, mense, biblioteche, scuola per gli apprendisti, dopolavoro, ambulatori medici, asilo e colonia marina.
Nasceva così anche Reggio un sistema di responsabilità sociale.
Da questo "sistema" sono state create le basi per la metalmeccanica mondiale e, non a caso, dopo aver frequentato la scuola professionale "Reggiane" gli studenti eseguivano un "capolavoro" prima di essere assunti.
Gli adulti, anche se già esperti, erano tenuti a dimostrare le loro capacità.
All' Ing. Emilio Bernabei, direttore di produzione, si presentò un giorno un operaio sembra di cognome Zannoni, che esibì delle mosche; osservandole in dettaglio si trattava di piccole opere d'arte in ferro grandi quanto un chicco di riso (vedi foto seguenti) realizzate con la maestranza acquisita negli anni. Da qui il nome "le mosche di ferro".
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